domenica 25 novembre 2007
sabato 24 novembre 2007
PENA DI MORTE, PIU' VICINA LA MORATORIA INTERNAZIONALE, FORSE
Recentemente la Terza Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione per la moratoria della pena di morte. I Paesi che l’hanno sostenuta sono stati 99, due in più della soglia minima richiesta per raggiungere la maggioranza assoluta, 52 quelli che hanno espresso invece un voto contrario, 33 gli astenuti.
In precedenza si era tentato tre volte di far passare la moratoria: nel 1994, nel 1999 e nel 2003, ma tali tentativi erano risultati vani. Perciò la decisione assunta dalla Terza Commissione rappresenta di per sé una prima vittoria per chi, nel Mondo, si impegna allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sul tema delle esecuzioni capitali. Tra questi anche l’Italia, che sostiene da 13 anni la moratoria.
E la rilevanza della posizione assunta dalla Terza Commissione ONU viene sottolineata anche da Amnesty International, la quale ha infatti dichiarato che “il voto espresso […] dal III Comitato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in favore di una moratoria globale sulle esecuzioni rappresenta [..] una risoluzione storica e un grande passo avanti verso l’abolizione della pena di morte nel mondo”.
Sembrerebbe dunque che un primo, importante, traguardo sia stato raggiunto. Molto resta ancora da fare però. Anzitutto in termini di “educazione culturale” dell’opinione pubblica all’abolizionismo, quindi in prospettiva di un’effettiva azione di lobbying nei confronti dei Paesi che ancora ricorrono alla pena capitale. Lo scorso anno infatti, ancora 25 Stati hanno eseguito condanne a morte, il 91% delle quali ha avuto luogo in Cina, Iran, Iraq, Pakistan, Stati Uniti e Sudan.
In una prospettiva abolizionista è quindi necessario continuare a portare avanti massicce campagne di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Tali campagne però, per giungere al più vasto pubblico possibile, dovranno essere supportate e patrocinate da soggetti istituzionali, da scuole di ogni ordine e grado e dalle università. Solo così sarà infatti possibile dimostrare l’inconsistenza di tutta una serie di luoghi comuni ancora molto radicati in chi è convinto dell’efficacia della pena di morte. Ad esempio, spesso chi è favore dell’esecuzione capitale motiva la sua posizione sostenendo che questa rappresenterebbe il principale deterrente a delinquere. Niente di più sbagliato, basti pensare che sul sito di Amnesty si può leggere che “diversi studi scientifici hanno dimostrato che non esistono prove certe che la pena capitale sia un deterrente più efficace rispetto ad altre punizioni. L'indagine più recente sulla relazione tra pena capitale e tasso di omicidi, condotta dalle Nazioni Unite nel 1998 e aggiornata nel 2002, conclude che: «…non è prudente accettare l'ipotesi che la pena di morte abbia un effetto deterrente in misura marginalmente più grande che la minaccia e l'applicazione di una presunta punizione minore quale l'ergastolo.» (cfr. Roger Hood, The Death Penalty: A World-wide Perspective, Oxford, Clarendon Press, terza ed. 2002, p. 230)”.
Senza contare che, ovunque sia ancora in vigore la pena capitale, è alto il rischio di mandare a morte degli innocenti. Un dato su tutti: negli USA dal 1973 sono stati rilasciati 123 prigionieri dal braccio della morte, dopo l’individuazione di nuovi elementi a loro discolpa. In alcuni casi i detenuti erano giunti ad un passo dall’esecuzione per una serie di circostanze verificatesi in modo molto simile di volta in volta. Tra queste, indagini e servizi di assistenza legale non sufficienti, e l’utilizzo di prove poco attendibili. E tutto questo non è “appannaggio” esclusivo degli Stati Uniti
Bisogna insomma che diventi opinione largamente condivisa e diffusa , in questo come in molti altri casi, che due torti non fanno una ragione. Ma per riuscirvi, è necessario prima di tutto che ci sia accordo sul fatto che uccidere un uomo, anche se quest’ultimo in precedenza si è reso responsabile di omicidio, rappresenta comunque un torto, e dunque un’azione altrettanto illecita, in quanto violazione di uno dei più elementari diritti umani: quello alla vita.
(di Francesca Garrisi)
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